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Responsabilità socio di minoranza società srl

 

La recente Ordinanza n. 22169 del 1° agosto 2025 della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio di cruciale importanza riguardo la responsabilità dei soci nelle società a responsabilità limitata (S.r.l.): anche i soci titolari di quote di minoranza possono essere chiamati a rispondere dei danni causati alla società e ai suoi creditori se hanno consentito la prosecuzione di una gestione societaria illecita da parte degli amministratori.

Il quadro normativo e la portata della responsabilità dei soci

L’articolo 2476, comma 8, del codice civile stabilisce espressamente che “sono, altresì, solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi”.

Tale norma rappresenta una deroga alla regola generale contenuta nell’articolo 2462, comma 1 c.c., che in via ordinaria limita la responsabilità del socio al conferimento effettuato, precisando invece che la responsabilità è estesa ogniqualvolta i soci abbiano deciso o comunque autorizzato condotte nocive gestionali.

L’enfasi normativa cade sul requisito dell’“intenzionalità” nella decisione o autorizzazione di atti lesivi: si tratta dunque di una condotta commissiva, in cui il socio non è semplice spettatore, bensì soggetto attivo che, con la propria volontà, induce o assiste alla realizzazione di atti gestori pregiudizievoli compiuti dagli amministratori.

La decisione della Corte di Cassazione e i suoi effetti

La Corte, nel caso affrontato, ha precisato che l’autorizzazione o la decisione del socio non deve necessariamente esprimersi in atti formali o deliberazioni assembleari. Può trarsi anche da manifestazioni di volontà informali o di fatto, purché tali espressioni abbiano concretamente orientato l’operato dell’organo amministrativo compiendo atti dannosi alla società.

Ciò anche quando il socio sia titolare di unicamente una quota di minoranza: non rileva infatti la dimensione percentuale del pacchetto azionario ma la partecipazione attiva e consapevole alla gestione illecita.

La Cassazione ha sottolineato come non sia sufficiente una mera esperienza astratta del danno (cioè la previsione che l’atto possa arrecare un danno). Al contrario, è necessaria la consapevolezza diretta dell’antigiuridicità dell’atto e la volontà di orientare in tale direzione la gestione, configurando così un concorso materiale e morale nel compimento del danno.

Il caso concreto: continuazione della gestione illecito-indotta

Nel caso sottoposto all’esame della Corte, era stata contestata ai soci la mancata deliberazione della messa in liquidazione, con il fine di continuare indebitamente la gestione della società per poi cedere le proprie quote prima di un imminente fallimento. La Cassazione ha considerato che questo comportamento avesse determinato un danno reale e che tale condotta fosse da ritenersi volontaria e finalizzata a influenzare la gestione, configurando così un’onere di responsabilità anche per i soci di minoranza coinvolti.

In particolare, la responsabilità nasce dalla condotta complessiva dei soci volta a mantenere la prosecuzione della gestione sociale nonostante l’assenza dei presupposti per farlo, come nel caso di insolvenza o di crisi aziendale grave, aggravando così la posizione della società e dei terzi creditori.

Differenze rispetto alla responsabilità degli amministratori

Importante è la distinzione operata dalla Corte tra la responsabilità del socio e quella dell’amministratore. Quest’ultimo risponde per il danno anche se non ha previsto o voluto la conseguenza dannosa del suo operato (responsabilità oggettiva o di fatto più ampia), mentre il socio risponde solo in presenza di dolo cioè dell’intenzionalità diretta di autorizzare o decidere l’atto dannoso.

La giurisprudenza ha dunque chiarito che non può esistere una disparità irragionevole tra questi due livelli di responsabilità: la condotta del socio deve essere valutata in funzione della volontà di operare in modo contrario ai doveri societari, non semplicemente per la previsione astratta delle conseguenze negative.

Implicazioni pratiche e riflessioni

Questo orientamento della Suprema Corte genera effetti importanti soprattutto in contesti dove la compagine sociale è frammentata, ed è frequente la presenza di soci di minoranza che, spesso considerati meri fruitori passivi dei risultati dell’impresa, vengono ora coinvolti attivamente nella tutela degli interessi sociali e dei creditori.

La responsabilità solidale prevista dall’art. 2476, co. 8, c.c. si estende pertanto a tutti i soci che, indipendentemente dall’ammontare della partecipazione, abbiano contribuito con atti o omissioni consapevoli a sostenere una gestione dannosa.

Da un punto di vista pratico, i soci devono quindi esercitare molta attenzione nella partecipazione alle decisioni sociali e vigilare affinché gli amministratori compiano atti nell’interesse della società, evitando di convalidare condotte illecite o di incentivare comportamenti che possano arrecare danni anche a terzi.

Inoltre, la decisione della Cassazione invita a superare la distinzione formale tra soci di maggioranza e di minoranza, focalizzandosi piuttosto sulla concreta effettività dell’influenza esercitata sulla gestione societaria, che può provenire da ogni quota sociale, attribuendo a tutti i soci un dovere di diligenza e responsabilità eccessivo, ma proporzionato ai rischi derivanti dalla gestione illecita della società.

Conclusioni

L’Ordinanza n. 22169/2025 rappresenta un richiamo forte e chiaro alla responsabilità condivisa all’interno delle società di capitali, confermando che anche i soci di minoranza, ove siano coinvolti volontariamente in atti illeciti di gestione, rispondono in solido dei danni arrecati alla società e ai creditori sociali.

La pronuncia ribadisce, inoltre, che la “intenzionalità” richiesta per far scattare la responsabilità dei soci non implica necessariamente il dolo di danno – ovvero la volontà specifica di ledere –, ma si riferisce alla consapevolezza e alla volontà diretta di orientare l’attività degli amministratori verso atti antigiuridici, facendo così venir meno la “distanza” che di solito si attribuisce ai soci minoritari.

Questo importante principio rafforza la tutela degli interessi sociali e creditori e invita tutti i componenti della compagine sociale a una condotta prudente e proattiva, ponendo in guardia contro comportamenti che possano favorire la realizzazione di attività pregiudizievoli per la società.

 

 

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