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USUCAPIONE

VERBALE ACCORDO DI CONCILIAZIONE

Alcune riflessioni e suggerimenti operativi

 

Il Codice civile intende per usucapione il modo di acquisto della proprietà di un bene mediante l’accertamento di un possesso qualificato e del decorso del tempo. In presenza dei predetti presupposti l'acquisto del diritto si produce automaticamente per legge.

 

Nella letteratura giuridica, l’usucapione è pacificamente considerata un modo di acquisto della proprietà rientrante nella “materia” dei diritti reali, cui l’art.5 D.L.vo n° 28/10 letteralmente si riporta. Tuttavia è bene chiarire da subito che l’usucapione non rientra nella mediazione obbligatoria e quindi non costituisce una condizione di procedibilità per l’accesso alla giustizia ordinaria, viceversa essa potrà essere oggetto di mediazione facoltativa per il solo fatto che l’usucapione non è, come si diceva, un diritto reale, ma un modo di acquisto della proprietà.

 

La questione che in questa sede si intende approfondire riguarda la funzione ed efficacia del verbale di conciliazione in materia di usucapione.

 

* * * * *

 

Una sentenza della Suprema Corte di Cassazione (Cass. II Sez. Civ. 5 febbraio 2007, n. 2485) riprendendo un proprio orientamento, risalente e consolidato, ha ribadito la piena validità ed efficacia dell' atto pubblico con il quale venga trasferita una proprietà immobiliare della quale l’alienante si dichiari proprietario per usucapione escludendo così la necessità di un previo accertamento giudiziale dell'usucapione medesima.

 

Osserva in proposito il Supremo Collegio, che negare al proprietario per usucapione la possibilità di disporre del bene usucapito genera: << la strana situazione per cui chi ha usucapito sarebbe proprietario ma non potrebbe disporre validamente del bene fino a quando il suo acquisto non fosse accertato giudizialmente>>.

 

Questa pronuncia muove da un’interpretazione dell’art. 1158 c.c. secondo la quale l’usucapiente acquisterebbe il diritto di proprietà in maniera automatica per effetto della interazione tra possesso e decorso del tempo, a prescindere da qualsivoglia rapporto con la situazione giuridica precedente. Ne conseguirebbe la non necessità di un previo accertamento giudiziale allo scopo di far ritenere compiuta la fattispecie acquisitiva in presenza del “fatto”.

 

Tale ricostruzione sistematica, troverebbe conforto testuale nell’art. 1158 c.c.. Recita, infatti, tale norma: << La proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per venti anni >>. Si è così giunti ad affermare che per la norma in parola:

 

(i) il solo fatto del possesso continuato per venti anni di un bene mobile o di un diritto reale su un bene immobile produce in capo al possessore l’acquisto del corrispondente diritto;

 

(ii) l’efficacia acquisitiva (preclusiva) è automatica non richiedendo l'Ordinamento - neppure in funzione di integrazione dell'efficacia della fattispecie acquisitiva - un accertamento giudiziale del fatto.

 

Il titolo trascritto parrebbe così destinato ad assolvere alla mera funzione di cristallizzare una fattispecie acquisitiva già compiuta al solo fine di garantire la continuità della trascrizione nei registri immobiliari.

Il verbale di conciliazione sottoscritto dalla parti in mediazione e dallo stesso mediatore, che ne certifica le firme, a chiusura di un procedimento di mediazione ai sensi del Dlgs 28/2011, meramente ricognitivo degli effetti dell’usucapione della proprietà o di altro diritto reale a favore di una di esse, non è di per sé idoneo alla trascrizione nei registri immobiliari. In questo senso si è pronunciato il Trib. Roma, sezione V civile, con decreto n. 6563 del 22 luglio 2011, interpellato sulla questione dalla Conservatoria alla quale è pervenuta la relativa nota di trascrizione.

 

La conclusione a cui è giunta la giurisprudenza muove dalla constatazione che l'autonomia delle parti, nella fattispecie in oggetto, incontra un limite invalicabile costituito dalla possibilità a sostituirsi ad una sentenza del giudice solo laddove, col loro contratto, raggiungano un identico risultato. Non si può certamente dire che sia così per l'usucapione.

 

L'usucapiente, per formalizzare l'acquisto, deve necessariamente esperire un'azione giudiziale per ottenere una sentenza che accerti e dichiari l'avvenuta usucapione. La sentenza è di mero accertamento, con natura dichiarativa e non costitutiva (Cass. 19 marzo 2008, n. 12609; Cass. 5 febbraio 2007, n. 2485). Tale sentenza dovrà essere poi trascritta nei registri pubblici, ai sensi dell'articolo 2651 del Codice civile.

 

Viceversa l’accordo nel quale le parti si limitano semplicemente a prendere atto del verificarsi dei presupposti legali dell’usucapione non solo non produce alcun effetto costitutivo, modificativo o estintivo di diritti reali, ma neppure configura un negozio di mero accertamento, volto a rimuovere dubbi sui presupposti stessi dell’usucapione. Questa funzione – come sopra evidenziato - compete solamente al giudice e non basta una dichiarazione delle parti per ottenere un identico risultato. Si pensi, ad esempio, se sarebbe mai possibile una separazione consensuale sulla base del semplice accordo di separazione fra le parti senza l’omologa del Giudice.

 

Queste argomentazioni sono state riprese anche dal Tribunale di Varese, con ordinanza del 20 Dicembre 2011 in cui si ribadisce che il verbale di conciliazione “non si surroga alla sentenza…che si figura come indefettibile”.

 

Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, l'usucapione pur essendo un modo di acquisto originario della proprietà non opererebbe automaticamente con il possesso ventennale. Occorrerebbe, infatti, accertare che tale possesso abbia i requisiti, della pienezza e della esclusività corrispondendo così all'esercizio del diritto di proprietà (o di altro diritto reale). La sussistenza di tali qualità necessarie del possesso deve, secondo quest’orientamento, essere sottoposta esclusivamente all’accertamento giudiziale con la conseguenza che, in difetto, l'acquisto del diritto di proprietà non può essere dichiarato dal possessore. Né si potrebbe in contrario arrivare a sostenere che il Dlgs 28/2011 abbia voluto creare un nuovo modo di acquisto della proprietà diverso da quello tipico dell’usucapione, poiché il semplice "dare atto – in un verbale o accordo di conciliazione - dell'acquisto della proprietà su un bene per usucapione a favore di una parte e a discapito dell'altra" giuridicamente non significa nulla, in quanto la "presa d'atto" o la “mera constatazione” non é ex sé idonea a produrre gli effetti traslativi desiderati in mancanza della sentenza di accertamento del giudice. Né il verbale di conciliazione per sua natura può mai sostituire la sentenza dichiarativa poiché il mediatore - diversamente dal giudice - non ha il potere di sindacare ed accertare in concreto il verificarsi o meno dell’usucapione. Solamente il giudice ha il potere-dovere di valutare e appurare - attraverso un controllo di legalità sostanziale - l'esistenza in concreto dei presupposti dell'usucapione (possesso continuativo, buona fede, nessuna interruzione, ecc..).

 

Viceversa il mediatore tendenzialmente è un mero "facilitatore", la cui funzione si esaurisce nell’esperire un tentativo di conciliazione limitandosi a recepire o allegare nel relativo verbale le dichiarazioni provenienti dalle parti – unici attori della vicenda controversa - in grado di determinare il risultato della mediazione, non avendo anche (il mediatore) il potere-dovere di effettuare un controllo di legalità nè formale nè sostanziale, se non quello “generico” di verificare che l'accordo non sia contrario a norme imperative, che verta su diritti disponibili e che le parti siano validamente rappresentate in mediazione.

 

Quello che invece il mediatore potrebbe arrivare a proporre alle parti in mediazione che ne facciano espressa richiesta è la possibilità di raggiungere un identico risultato dell’accertamento dell’usucapione da parte del giudice utilizzando già i modelli predisposti all’uopo dal nostro legislatore. La lite infatti si può evitare solo utilizzando gli strumenti giuridici posti a disposizione dall'ordinamento, non inventando nuovi modelli che la conciliazione non ha creato né aveva alcun intenzione di creare. In pratica in sede di mediazione le parti potrebbero concludere un accordo nel quale una di esse assuma l’obbligo di trasferire il bene controverso all’altro (senza peraltro pretendere alcun corrispettivo) ponendo in essere fra di esse una vera e propria transazione con effetti novativi-traslativi della proprietà del bene rispetto all’originario rapporto oggetto di controversia per il quale è comunque necessario l’intervento notarile ai fini della trascrizione del trasferimento stesso nei pubblici registri immobiliari.

 

Ai sensi dell'art. 2657 del c.c., la trascrizione non si può eseguire se non in forza di sentenza, di atto pubblico o di scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente. In base a tale disposizione, il cui carattere tassativo è stato più volte ribadito dalla Corte di Cassazione (per tutte vedasi Cass. Civile, 12 marzo 1996, n. 2033), soltanto gli atti aventi i predetti requisiti di forma costituiscono titoli idonei per la trascrizione. La previsione normativa di un requisito minimo di forma per la trascrivibilità degli atti nei registri immobiliari (scrittura privata autenticata o accertata giudizialmente), risponde non solo allo scopo di stabilire, attraverso un criterio selettivo, i titoli idonei a documentare il fatto giuridico che costituisce l'oggetto proprio della trascrizione, ma anche all'esigenza di garantire che l'accertamento dell'autenticità della sottoscrizione venga svolto da un soggetto "terzo" rispetto ai sottoscrittori e particolarmente qualificato (ufficiale fidefaciente o giudice sentenziante).

 

In buona sostanza si sostiene che nella scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente l'accertamento operato dall'ufficiale autenticante o dal giudice avrebbe efficacia erga omnes, mentre, al contrario, il riconoscimento, espresso o tacito ad opera delle parti di giudizio di una scrittura privata spiegherebbe un’ efficacia più circoscritta non solo sotto l’aspetto soggettivo (valendo solo tra le parti) ma anche sotto quello oggettivo spiegando una mera funzione probatoria. Gli effetti correlati al riconoscimento assumerebbero, cioè, una rilevanza esclusivamente interna all'ambito dei rapporti intercorrenti tra le parti del processo, per quanto attiene, in particolare, i profili inerenti l'efficacia probatoria della scrittura medesima senza spiegare alcuna efficacia verso i terzi.

 

E poiché l’elenco di cui all’art. 2657 c.c. è da ritenersi tassativo, soltanto gli atti aventi i predetti requisiti di forma costituirebbero titoli idonei per la trascrizione rispondendo la previsione normativa di un requisito minimo di forma per la trascrivibilità non solo al fine di stabilire, attraverso un criterio selettivo, i titoli idonei a documentare il fatto giuridico che costituisce l'oggetto proprio della trascrizione, ma anche all'esigenza di garantire che l'accertamento dell'autenticità della sottoscrizione venga svolto da un soggetto "terzo" rispetto ai sottoscrittori e particolarmente qualificato (ufficiale fidefaciente o giudice sentenziante). Il verbale di conciliazione in sede non contenziosa relativo a controversie essendo privo dei detti requisiti non potrebbe essere annoverato tra i titoli idonei per la trascrizione ex art. 2657 c.c.

 

Ciò detto è bene evidenziare che il notaio, al termine dell'avvenuta conciliazione, può "autenticare" solamente accordi che equivalgono agli atti che normalmente può ricevere, non può viceversa sostituirsi al giudice nell'accertare quei fatti (possesso, tempo, buona fede ecc.) la cui sussistenza costituisce il presupposto per una sentenza dichiarativa di usucapione.

 

Pertanto ai fini della trascrizione dell’usucapione nei RR.II. occorre sempre la sentenza di accertamento del giudice che costituisce l’unico titolo idoneo per trascrivere l'acquisto a titolo di usucapione nei Registri Immobiliari. Questa forma di pubblicità fra l’altro è una mera pubblicità notizia che serve solo a dare certezza giuridica a vicende negoziali nel rispetto del principio della continuità delle trascrizioni. Viceversa, ove si ammettesse la trascrivibilità di un accordo di conciliazione “meramente ricognitivo” dell’usucapione senza una sentenza di accertamento a valle siffatta trascrizione provocherebbe una incertezza nei rapporti giuridici in antitesi con quella che è la funzione tipica dell’istituto della trascrizione.

 

Roma-Milano, 30.3.2021

 

Avv. Nicola di Stefano

 

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